Noi scienziati o ex scienziati continuiamo a tediare chiunque con la storia dell’“affidatevi solo alle fonti scientifiche”, ovvero gli studi scientifici, i manuali, qualunque cosa provenga dalla comunità scientifica. Continuiamo a ribadirlo anche quando si tratta di cosmetici e di cosmesi fai da te.
Indubbiamente anche io faccio parte di questi personaggi che continuano a dirvi di cercare articoli scientifici prima di dire che una cosa ha un certo effetto, ma a un certo punto mi sono resa conto che chi non ha mai fatto ricerca non può sapere come si fa a trovare queste fonti. Le persone “normali” non hanno idea (giustamente) di cosa sia un articolo scientifico e di come esso sia diverso da un articolo pubblicato sulla rivista Focus.
Per questo motivo ho pensato di scrivere questa guida per persone “normali” (perché diciamolo, i ricercatori non lo sono) per spiegarvi qualcosa di come funziona il sistema delle pubblicazioni scientifiche e quali tipi di fonti potete trovare.
Chi fa ricerca?
Partiamo da una questione di base: ma chi è che fa ricerca e scrive le pubblicazioni scientifiche?
I ricercatori possono essere accademici o industriali. Gli accademici sono ricercatori che lavorano o per le università o per centri di ricerca pubblici. La maggior parte dei loro fondi è pubblica – sì, pagata anche con le tasse – e il concetto dietro alla ricerca accademica è tradizionalmente che essa è per la comunità e che è libera, cioè non influenzata da interessi commerciali.
I ricercatori industriali sono scienziati che lavorano per i dipartimenti ricerca & sviluppo delle aziende. Il loro obiettivo primario non è quello di pubblicare articoli, ma a volte pubblicano i risultati dei loro progetti nei giornali scientifici proprio come fanno gli universitari.
In media, gli accademici pubblicano i loro risultati nelle riviste scientifiche, mentre è più facile trovare il lavoro degli industriali nel campo dei brevetti. Come scritto sopra, talvolta anche i ricercatori di aziende pubblicano nei giornali, ma è abbastanza probabile che ciò che pubblicano sia già disponibile sotto forma di un brevetto o di una domanda di brevetto.
Le riviste scientifiche
Le riviste scientifiche sono i giornali dove gli scienziati (principalmente accademici) pubblicano i risultati delle loro ricerche e, talvolta, articoli che riassumono lo stato dell’arte di un certo campo.
Ci sono diverse case editrici, ciascuna con il proprio portfolio di riviste. Ciascuna rivista è specializzata in un certo campo di ricerca, anche se ci sono sia riviste iper-specializzate (ad esempio in biologia cellulare, chimica dei polimeri, biologia delle piante, ecc.) che riviste con uno scopo molto ampio, che puntano a raccogliere tutti gli sviluppi e le avanguardie di svariati campi scientifici (come i famosi Nature e Science, ma non solo).
Non tutte le riviste hanno la stessa importanza e “fama”. Alcune riviste sono talmente famose che anche il pubblico le conosce, proprio come Nature e Science. Non è però scontato stabilire che una rivista sia di qualità migliore di un’altra e in particolare la qualità della rivista non è sempre da estendersi a tutti i suoi articoli. La qualità di uno studio scientifico non dipende sempre da dove è pubblicato, ma in primis da quanto lo studio è strutturato bene, il rigore con cui è svolto e con cui i dati sono analizzati e presentati.
I ricercatori utilizzano tradizionalmente l’impact factor per farsi un’idea di quanto prestigioso è un giornale – e all’inizio è facile cadere nell’errore di giudicare gli articoli in base all’impact factor del giornale in cui si trovano.
L’impact factor è un numerino che viene dato a ciascun giornale e che non ha direttamente a che fare con la qualità dei suoi articoli. Dipende, tra le altre cose, dal numero di citazioni che quel giornale riceve. Questo può dare in un certo senso un’idea della qualità di ciò che il giornale pubblica, ma non è assolutamente un metro di misura universale.
Infatti, ci sono molti studi affidabili e fatti bene che però vengono pubblicati in giornali “piccoli” con un IF di 3-4, e studi che finiscono su Nature (IF 42.7) e che non si capisce come ci siano finiti – finché non si scopre che l’ultimo nome tra gli autori è un tizio importante e che quel campo di ricerca è particolarmente trendy al momento.
È proprio così: pubblicare un articolo su un giornale ad alto impact factor non dipende del tutto dalla qualità dello studio. Certo, la qualità e i risultati sono sempre fondamentali, ma lo sono anche i nomi degli autori – specialmente l’ultimo* – e quanto il campo di ricerca è “di moda”.
*L’ordine dei nomi degli autori su un articolo a volte è totalmente casuale o alfabetico (dipende dall’usanza dell’università o del centro di ricerca in questione), ma spesso ha un significato specifico e in un certo senso riflette il tipo di contributo di ciascun autore dello studio. In questi casi, i nomi più importanti sono il primo e l’ultimo. Il primo è il dottorando o il post-doc che ha fatto quasi tutto il lavoro, l’ultimo è quello del capo del gruppo di ricerca. Talvolta il primo nome è “condiviso” tra il primo e il secondo autore, quando i due ricercatori hanno lavorato 50-50 a quello studio.
Tipi di articoli scientifici
Ci sono principalmente due tipi di articoli che potete trovare nelle riviste specializzate.
- Research articles (papers): Questi articoli presentano i risultati di uno studio. Di solito introducono il campo di ricerca e il problema alla base dello studio nell’introduzione, poi anticipano brevemente il contenuto dello studio, spiegano nel dettaglio i materiali e i metodi (procedure sperimentali) utilizzati, e infine presentano e discutono nel dettaglio i risultati.
- Reviews: Questo tipo di pubblicazione è una sorta di riassunto di ciò che sta succedendo in un certo campo di ricerca. Gli autori delle reviews le preparano leggendo moltissimi articoli (research articles) su quel campo, e li mettono insieme discutendo cosa è stato fatto, cosa è ancora in corso d’opera, e quali sono i prossimi passi che ci si augura di prendere. Le reviews sono una sofferenza da scrivere, ma hanno un valore inestimabile per i ricercatori, in quanto permettono di recuperare facilmente molti articoli e riferimenti che altrimenti ci si dovrebbe cercare manualmente. Inoltre sono una specie di santo graal per gli studenti alle prese con la scrittura della tesi magistrale o di dottorato.
Come viene pubblicato uno studio?
Quando i ricercatori hanno ottenuto abbastanza dati su una parte di un progetto, a un certo punto si decideranno a pubblicarli su una rivista. In teoria, questo viene fatto in modo che la comunità scientifica possa avere accesso a ciò che i pari stanno facendo, perché la scienza appartiene a tutti e la ricerca in teoria è fatta di collaborazioni in tutto il mondo senza competizione.
In realtà, molti accademici pubblicano articoli perché sono costretti a farlo per andare avanti nella loro carriera. I dottorandi hanno il bisogno disperato di pubblicare articoli “primo nome” (cioè dove sono primi autori) per dottorarsi; i post-doc hanno lo stesso bisogno disperato – possibilmente slittando da primo a ultimo nome – per accumulare articoli ad alto impatto nel CV e ottenere un giorno l’agognato posto fisso. Persino i professori e i ricercatori permanenti hanno bisogno di pubblicare i loro studi, perché sono l’ingrediente necessario a vincere i concorsi e quindi i fondi per continuare le loro ricerche.
Una volta che i dati sono sufficienti, il primo autore tipicamente scrive la bozza dell’articolo, che poi viene revisionato più volte dagli altri autori. Quando il processo è terminato, il cosiddetto manoscritto viene mandato a una rivista scientifica. Specialmente nei casi in cui la prima rivista scelta ha impact factor molto alto, è facile che l’articolo venga rigettato (si dice così in gergo, perché deriva da rejected) direttamente dall’editor senza nemmeno essere letto.
Se l’editor dà un’occhiata all’articolo e decide che ha qualche speranza, l’articolo entra nel sistema della peer-review (revisione “tra pari”). L’articolo viene cioè inviato a due, tre, quattro (o più, se si è molto sfortunati) revisori. I revisori giudicheranno l’articolo in modo assolutamente imparziale e senza mai riversare tutte le loro frustrazioni sui poveri autori (LOL, scherzo: è proprio così che va). I revisori vengono scelti tra altri ricercatori (i “pari”) dello stesso campo e tipicamente sono anonimi per gli autori – altrimenti il tasso di omicidi tra i ricercatori salirebbe alle stelle. Talvolta i revisori conoscono il nome degli autori, ma spesso il procedimento viene fatto in doppio cieco (e meno male!).
Dopo alcune settimane, i revisori mandano il loro report all’editor, dove scrivono se pensano che l’articolo può essere pubblicato così com’è, oppure se necessita di grosse revisioni/nuovi esperimenti, oppure se è completamente senza speranza.
Dopo la revisione, che può appunto richiedere una certa mole di modifiche e nuovi esperimenti, l’editor deciderà cosa fare. Ricompenserà gli sforzi degli autori che hanno eseguito i 5678 nuovi esperimenti richiesti dal Reviewer 2, o rigetterà l’articolo senza pietà dopo averlo tenuto in revisione per tre mesi? Ai posteri l’ardua sentenza.
A un certo punto, l’articolo troverà la sua strada e un editor disponibile a pubblicarlo dopo la revisione, e l’articolo finalmente vedrà la luce su una rivista e sarà disponibile al pubblico.
Ma gli articoli scientifici sono davvero accessibili al pubblico?
In principio, lo sono. Niente vi vieta di leggerne uno, anche se non siete ricercatori.
Tuttavia, purtroppo non sono mai davvero accessibili gratuitamente, e questo è uno degli aspetti orribili del sistema delle pubblicazioni scientifiche.
Da questo punto di vista ci sono due tipi di giornali: quelli che richiedono una subscription o abbonamento e quelli open access.
I giornali che richiedono una subscription non sono gratuiti. L’utente deve pagare o un abbonamento per accedere a tutti gli articoli, oppure un contributo per ciascun articolo che desidera leggere. Il prezzo di ciascun articolo può variare, l’ultimo che ho visto costava sui 40$. Sì, proprio QUARANTA DOLLARI per un articolo pubblicato su un giornale online e che pubblica i risultati di una ricerca che molto probabilmente è finanziata con soldi pubblici.
Ma non prendetevela con gli scienziati per questo: credetemi, i ricercatori vorrebbero che voi leggeste i loro articoli. Lo fanno davvero (anche) per il pubblico, per far vedere alla società che ciò che fanno è importante per tutti. Il problema sono le case editrici e tutto il sistema delle pubblicazioni.
I giornali open access invece possono essere letti da tutti gratuitamente. Sembra fantastico, no? Significa che non tutte le case editrici sono così infami! Ma perché mai allora i ricercatori non pubblicano solo open access?
Beh, è vero che il pubblico ha accesso gratuito al giornale open access, ma perché un articolo sia pubblicato lì sopra, sono gli autori stessi a dover pagare. Un articolo open access può costare agli autori migliaia di dollari.
Quindi sì, i giornali open access sono gratuiti per noi, ma non per gli autori, e questo è il motivo per cui non tutti gli articoli vengono pubblicati in questo tipo di giornali.
A mio parere, il fatto che la letteratura scientifica non sia realmente gratuita ed accessibile a tutti è uno dei peggiori aspetti di tutto il sistema delle pubblicazioni, che si riflette in quanto il pubblico è realmente coinvolto e consapevole di ciò che viene fatto dai ricercatori (con gravi conseguenze nell’opinione pubblica verso questi ultimi). Certo, se siete ricercatori mi direte che la mancanza di imparzialità da parte degli editor e dei reviewer è un altro grande problema, ma credo che prima di tutto la scienza dovrebbe essere gratuitamente accessibile per tutti quelli che se ne interessano.
Dove si trovano gli articoli scientifici
Ci sono diverse piattaforme per cercare gli articoli e le review. Chiaramente se siete interessati a un giornale specifico, come Nature, potete trovare gli articoli sul sito web del giornale stesso.
Se invece volete cercare articoli tramite parole chiave e argomento, le piattaforme più facili da usare sono Google Scholar e Pubmed. Dovete solamente cercare come fareste su Google, e il motore di ricerca vi darà un elenco di articoli che possono interessarvi.
Tuttavia, come scritto sopra, la maggior parte degli articoli è a pagamento. Per avere accesso a questi articoli, potete copiare il numero DOI (un numerino assegnato a ciascun articolo, lo vedete anche nei risultati di Scholar o Pubmed) e incollarlo sulla barra di ricerca di Sci Hub, che vi fornirà il PDF. Cercate semplicemente Sci Hub su Google e troverete l’indirizzo attuale (le case editrici ovviamente non sono grandi fan di Sci Hub, quindi il sito viene regolarmente chiuso e deve riaprire con un indirizzo diverso).
Se vi interessano articoli di fisica, potete anche dare un’occhiata all’ArXiv, dove i fisici pubblicano i loro manoscritti prima di mandarli ai giornali.
Brevetti
C’è un altro tipo di letteratura scientifica, che può risultare un po’ più noiosa da leggere ma che può essere molto utile soprattutto nel campo dei cosmetici, dove pochi articoli vengono pubblicati sulle riviste e non sono influenzati dagli interessi commerciali delle aziende.
Si tratta dei brevetti. Ho sempre ignorato il mondo dei brevetti quando ero ricercatrice, come quasi tutti gli accademici, e ho scoperto quanto può essere utile la letteratura dei brevetti solo quando ho iniziato la formazione per diventare patent attorney.
Il vantaggio principale dei brevetti e delle domande di brevetto è che sono accessibili al pubblico per definizione. Un brevetto dà al suo proprietario il diritto di impedire agli altri di utilizzare la propria invenzione a scopi commerciali; in cambio di questo diritto, la descrizione dell’invenzione deve essere pubblica.
Non pensate alle invenzioni come scoperte incredibili che risolveranno i problemi del mondo: il concetto di invenzione è soprattutto legale e può trattarsi anche semplicemente di una formulazione cosmetica, se rientra in questa definizione.
I brevetti e le domande di brevetto possono essere interessanti soprattutto per chi si interessa di formulazione cosmetica e farmaceutica, perché non si perdono più di tanto nella discussione dei dati ma descrivono abbastanza dettagliatamente come sono fatte le formule.
Dove trovare i brevetti e le domande di brevetto
Se volete cercare brevetti per argomento o parole chiave, potete trovare tutto ciò che volete in Google Patents. A mio parere è la piattaforma più user-friendly anche per chi non lavora nel campo della proprietà intellettuale. Ci sono altre piattaforme come Espacenet, il registro brevetti Europeo e quelli degli uffici brevetti nazionali, ma Google Patents è molto più facile da usare. Inoltre, anche se il documento originale fosse in giapponese, coreano o russo, il motore di ricerca tradurrà automaticamente il testo.
La lingua delle pubblicazioni
A proposito di traduzioni, l’ultima informazione che devo darvi riguarda la lingua delle pubblicazioni: la lingua della ricerca è l’inglese. Ciò significa che tutti i ricercatori, siano essi italiani, francesi, tedeschi o sudamericani, scrivono i loro articoli sempre in inglese.
Le riviste specializzate sono quasi tutte in lingua inglese, con poche eccezioni. Sarà difficilissimo che troviate articoli in italiano: mi è capitato di trovarne qualcuno risalente a decine e decine di anni fa, quando ancora si usava pubblicare anche su riviste nazionali.
Per quanto riguarda i brevetti, i brevetti e le domande di brevetto europee sono in inglese, francese o tedesco; Google Patents tipicamente traduce verso l’inglese; i brevetti e domande di brevetto nazionali sono spesso nella lingua dell’ufficio brevetti nazionale – quindi i documenti dell’ufficio brevetti italiano possono essere in italiano.